Monte Pallano, l’esperienza di un luogo

NATURA D'AVVENTURA

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Monte Pallano
Di Annalisa Giuliani

Tornareccio è un borgo dall’architettura antica.
Non è un luogo di passaggio per chi è diretto al Monte Pallano ma una sosta necessaria.
Sui muri infinite tessere si incastrano a formare mosaici, a raccontare storie, un intreccio di colori in cui perdersi.

Il viaggio prosegue, i passi si fanno muti, taciti nel muschio cedevole. Solo la voce del vento che intreccia un dialogo con gli alberi. L’argenteo Faggio, la sinuosa Roverella, il Carpino nero dal portamento dritto, l’Acero campestre dalla esuberante chioma. Gli occhi si riempiono di colori. Un giglio rosso domina il fitto sottobosco di cespugli di rosa canina e biancospino.

Davanti si innalza la faggeta, un imponente bosco dall’architettura ordinata e perfetta. Alberi alti come colonne, chiome eleganti che lasciano appena penetrare il cielo.
Uno stridio pungente fa alzare lo sguardo, è il canto di una Poiana, una sentinella a baluardo di questo mondo incantato.
D’improvviso la sensazione di essere osservati. Di fronte un capriolo. Non è impaurito appare sorpreso. Un secondo, un minuto, il tempo di un saluto. Si gira e si allontana saltellando.

Monte Pallano
Seguendo il sentiero d’erba appare il Lago Nero, il lago che non c’è. L’acqua non abita più qui, ha ceduto il posto al verde e alle sue infinite cromature. Non ci sono barche ormeggiate, per attraversare il lago bastano i piedi, bastano gli occhi.
Dove sono finite le raganelle, le salamandre i tritoni?
Torneranno con l’acqua, quando tornerà l’inverno.

Impresse nella terra bruna le orme di un lupo, il signore dei boschi è passato di qui. Non hanno niente di spaventoso, non appartengono alla belva cattiva che abita le favole. Sono grandi e rotonde disposte in ordine sul sentiero.
Appartengono ad un essere libero che attraversa il bosco seguendo la traccia portata dal vento.

Non c’è traccia di uomo. Quassù, solo il brulichio di altre specie viventi. Ronzii di insetti, battito di ali, canti di uccelli si intrecciano in una dissonante polifonia.
Un tholos riporta alla memoria il tempo dei pascoli e dei pastori transumanti.

Monte Pallano
In alto si estende l’altopiano che accoglie l’ampio pascolo coperto di ginepri ed elicriso.
Più in là, imponenti si sollevano le Mura Megalitiche: antiche pietre che sfidano il tempo, saldamente incastrate a formare una misteriosa trama tessuta dalla Storia e impreziosita dalla leggenda.
Un’opera difensiva o un recinto dei Paladini di Carlo Magno, o di quei ciclopi che nascosero nelle remote grotte preziosi tesori, da sempre narrati e mai trovati?

Monte Pallano
La cima non è la meta, la fine del viaggio, lì dove il pendio si fa pianura i resti di un abitato antico.
Un luogo dove un tempo pulsava la vita. Strade e case che furono percorse, abitate, mani laboriose operavano nelle botteghe, voci discutevano nel foro, preghiere si innalzavano nel tempio sotto l’auspicio benevolo degli Dei.
Gli occhi osservano queste remote pietre e l’immaginazione completa quello che non c’è, che non ha trovato la strada e che si è smarrito e perduto nel tempo.

Il viaggio si conclude. I bagagli dell’andata leggeri di attese al ritorno sono colmi di bellezza.

[Crediti | Immagini: Sangro Aventino Turismo. Foto di copertina Antonino Antrilli.]

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